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Sud Sudan:

una pace difficile

 

di Paolo E. Landi
con la collaborazione di Gino Barsella

 

 

Addis Abeba, marzo 2005

Paulos, Patriraca Etiope


Gli aerei delle Nazioni unite atterrano sulla pista di Rumbek, la capitale temporanea del Sud Sudan. Ma la prima immagine è quella di un paio di aerei incidentati, cannibalizzati e lasciati lì a cuocere nel sole a 45 gradi.
Il Sud Sudan cristiano e animista è un po’ così, un paese che non ha conosciuto la pace per quasi 50 anni, salvo una breve pausa tra il 72 e l’83. Una guerra civile con il nord che ha lasciato due milioni e mezzo di morti, quattro milioni e mezzo di sfollati, e un intero popolo che non sa cosa sia vivere in pace.
C’è un paese da ricostruire dalle fondamenta, nelle strutture sociali, politiche e nelle infrastrutture di base. Dalla costruzione delle strade a quella della democrazia, un grande sforzo, sostenuto dalla comunità internazionale, in cui le chiese cristiane hanno un grande ruolo, sia come costruttori di scuole e ospedali che come costruttori di pace e di giustizia.


Trattato di pace

Il 9 gennaio 2005, a Nairobi Kenya, il Vice Presidente del Governo del Sudan, Ali Osman Taha e il leader dell’esercito popolare per la liberazione del Sudan, John Garang hanno sigillato un documento costato tre anni di trattative che pone fine a 21 anni di guerra civile. Un pool europeo e il segretario di stato Americano, Colin Powell hanno sostenuto i mediatori africani.
Si stabilisce un periodo di interim di 6 anni, durante il quale il Sudan sarà ancora unito, John Garang diventerà vicepresidente e si scriverà la costituzione del sud. Passati questi anni un referendum deciderà se il sud diventerà uno stato separato in tutto e per tutto.

Nel frattempo i due eserciti gradualmente si piazzeranno nella parte di paese di loro competenza, sebbene si preveda che dovrebbero unirsi sotto un unico comando. Il Sud avrà la sua autonomia amministrativa. La temuta legge islamica; la sharia, sarà in vigore solo al nord. È previsto l’arrivo di un contingente delle nazioni unite per monitorare la pace.


Ricostruzione

Il trattato di pace è un documento impegnativo, ma è già accaduto in passato che il governo di Karthoum non rispetti i patti. E poi c’è la guerra nel Darfur. Alcuni sostengono che la fine dell’impegno militare al sud renderà disponibili al governo centrale, risorse per impegnarle nell’area a ovest. Altri invece, più ottimisti, vedono la pace con sud come un primo segno per porre fine a tutti i conflitti.

Il lavoro di ricostruzione è titanico.
Il Sud è territorio grande come mezza Europa, abitato da 8 milioni e mezzo di persone.
Il problema più urgente è quello dei profughi interni e dei rifugiati, 4 milioni e mezzo di persone, che da anni hanno lasciato la propria terra. Quando torneranno? E cosa troveranno? Le strutture del paese non potrebbero sopportare un repentino esodo.


I rifugiati


Il Movimento per la liberazione del Sud Sudan, (SPML) sostiene che sono già tornati in 2 milioni. Noi non li abbiamo visti. A Rumbeck ne sono in realtà tornati alla spicciolata, in tre mesi, solo 8.000.
Il world food program assicura che prima della stagione delle piogge, ad Aprile, fra un mese, ne torneranno 250.000 in quest’area. Insomma dati molto contrastanti.


Ma oltre l’oggettiva difficoltà di monitorare i flussi migratori quando non sono gestiti centralmente, la guerra delle cifre continua, perché questo esodo significa investimenti. La comunità internazionale e gli stati uniti hanno il portafogli sul tavolo. Più profughi tornano, più soldi saranno investiti. E la torta da spartirsi si allarga. Come spesso accade i poveri sono una benedizione per chi li deve aiutare.


Le nazioni unite hanno lanciato una raccolta di fondi dal titolo Programma di lavoro per il 2005, che calcola il budget necessario per tutto il Sudan in 1 miliardo e mezzo di dollari, e quindi per il Sud Sudan in una cifra approssimativa tra i 600 e i 700 milioni. Di tutti questi soldi solo il 9% è stato raccolto e distribuito. Nonostante tutto ci si prepara al ritorno della marea umana. C’è bisogno di acqua, di cibo e anche prodotti non alimentari, teli per creare ricoveri, o veri e propri materiali da costruzione per le loro case. Questo è l’assistenza fornita dalle nazioni unite. C’è da dubitare che i destinatari degli aiuti siano effettivamente queste persone. Durante il conflitto, dal 1989 l’Operazione Life Sudan (OLS) delle Nazioni unite ha speso 1 milione di dollari al giorno, di cui però solo il 22% era si trasformava in cibo effettivamente distribuito alle popolazioni vittime della guerra.


A Rumbek, non ci sono case in muratura, non c’è elettricità, nell’acqua, nètelefoni. Non esiste neanche una moneta in corso. È difficile immaginare un paese più povero. Restano solo le carcasse di qualche veicolo militare.
Il paese è tutto da costruire:
Le vie di comunicazione sono la prima e più importante necessità. Questa porta in Uganda, da dove presumibilmente arriveranno via terra le prime merci, invece degli eserciti, come in passato.


Cause del conflitto - acqua


Le cause del conflitto sudanese sono storiche, religiose ma soprattutto economiche.
In primo luogo si è combattuto per la gestione delle risorse idriche, per il Nilo bianco e azzurro, che partendo dal sud irrorano il nord desertico e forniscono acqua all’Egitto.


Negli anni settanta i francesi iniziarono a costruire un canale lungo 360 km, il Jonglei, che drenando le paludi meridionali ne avrebbero aumentato la portata del Nilo di ben 4 miliardi di metri cubi l’anno, a beneficio degli egiziani. Il canale avrebbe avuto un impatto ecologico enorme che avrebbe costretto le popolazioni denka, tradizionalmente pastori, a rinunciare ai loro pascoli. Il canale è rimasto bloccato dalla guerra al km 240. Il trattato di pace non menziona il problema.

Siamo nella stagione secca, le piogge sono ancora da venire. In quest’area fino a qualche mese fa due clan delle stesse tribù Denka, si facevano la guerra per l’approvvigionamento idrico. Nel raggio di centinaia di km non c’era un dispensario medico e neanche una scuola. Oggi c’è un infermiere volontario che distribuisce medicine.


Churches Ecumenican Action in Sudan CEAS è un’agenzia umanitaria delle chiese cristiane. Il Ceas ha anche fatto costruire un pozzo. L’acqua qui è a 60 / 90 metri.
Il microprogetto sembra un modello per il Sud Sudan: costruite pozzi, dateci medicine, e le ragioni del combattere cesseranno.


Cause del conflitto - petrolio


In Sud Sudan c’è il petrolio. Un milione di barili al giorno sono pompati verso Port Sudan sull’oceano indiano. Il Governo di Khartoum lo ha venduto ai Cinesi e ai malesi in cambio di armi.
L’accordo di pace prevede che i proventi siano divisi in qual misura tra sud e nord, salvo i precedenti contratti.

È ferma intenzione del governo meridionale di terminare i contratti con i Cinesi, nei prossimi 6 anni per stipularne nuovi con gli Stati Uniti. Nella guerra globale per l’oro nero il Sudan ha un ruolo di primo piano.


Cause del conflitto - religione?

Il 10 % della popolazione, dei 40 milioni di Sudanesi è cristiana, per lo più al sud. Le chiese anglicana e quella cattolica si affacciano nel paese nella seconda metà dell’800. John Garang, il capo dell’esercito di liberazione sudanese è protestante. Quando nel 1983 si mise a capo di una parte dell’esercito del sud lo fece anche per contrastare l’intenzione del governo di Karthoum di applicare la legge islamica nel sud. La guerra sudanese è stata vista anche come una guerra di religioni.

Non credo che sia vero. La questione si è posta perché l’avversario, il governo centrale, insediato a Khartoum si autodefisce come un governo islamico. E' stato spesso difficile distinguere tra il governo da una parte e la religione dall’altra. E per questo la guerra è sembrata una guerra di religioni ma è stata essenzialmente una guerra di liberazione. Tuttavia Le chiese cristiane locali sono state accusate di essere troppo compromesse con l’esercito sudista.
Le chiese, sia la cattolica che le protestanti hanno, di fatto, l’unica rete di collegamento e informazione che abbraccia tutto il sud. Sono quindi essenziali per la ricostruzione del tessuto connettivo del paese. Ma vorrebbero avere anche un ruolo più decisivo per mantenere questa fragile pace.


Restano molti se e molti ma di fronte a questo paese martoriato e meraviglioso. Forse la volontà dei padroni del mondo che vogliono il petrolio sudanese, forse la solidarietà interessata dei 9 paesi confinanti, forse la buona volontà di un popolo giovane e amante della sua ricca terra, riusciranno nel miracolo di una pace duratura.


 

PS. A qualche mese dal suo insediamento come vice presidente del Sudan, John Garang è morto in un incidente aereo.

 

 

 

 

L'inchiesta televisiva e' andata in onda su Raidue- Protestantesimo.

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