Gli aerei delle Nazioni unite atterrano sulla pista di Rumbek, la capitale
temporanea del Sud Sudan. Ma la prima immagine è quella di un paio
di aerei incidentati, cannibalizzati e lasciati lì a cuocere nel
sole a 45 gradi.
Il Sud Sudan cristiano e animista è un po’ così, un
paese che non ha conosciuto la pace per quasi 50 anni, salvo una breve
pausa tra il 72 e l’83. Una guerra civile con il nord che ha lasciato
due milioni e mezzo di morti, quattro milioni e mezzo di sfollati, e un
intero popolo che non sa cosa sia vivere in pace.
C’è un paese da ricostruire dalle fondamenta, nelle strutture
sociali, politiche e nelle infrastrutture di base. Dalla costruzione delle
strade a quella della democrazia, un grande sforzo, sostenuto dalla comunità
internazionale, in cui le chiese cristiane hanno un grande ruolo, sia
come costruttori di scuole e ospedali che come costruttori di pace e di
giustizia.
Trattato
di pace
Il 9 gennaio 2005, a Nairobi Kenya, il Vice Presidente
del Governo del Sudan, Ali Osman Taha e il leader dell’esercito
popolare per la liberazione del Sudan, John Garang hanno sigillato un
documento costato tre anni di trattative che pone fine a 21 anni di guerra
civile. Un pool europeo e il segretario di stato Americano, Colin Powell
hanno sostenuto i mediatori africani.
Si stabilisce un periodo di interim di 6 anni, durante il quale il Sudan
sarà ancora unito, John Garang diventerà vicepresidente
e si scriverà la costituzione del sud. Passati questi anni un referendum
deciderà se il sud diventerà uno stato separato in tutto
e per tutto.
Nel frattempo i due eserciti gradualmente si piazzeranno
nella parte di paese di loro competenza, sebbene si preveda che dovrebbero
unirsi sotto un unico comando. Il Sud avrà la sua autonomia amministrativa.
La temuta legge islamica; la sharia, sarà in vigore solo al nord.
È previsto l’arrivo di un contingente delle nazioni unite
per monitorare la pace.
Ricostruzione
Il trattato di pace è un documento impegnativo,
ma è già accaduto in passato che il governo di Karthoum
non rispetti i patti. E poi c’è la guerra nel Darfur. Alcuni
sostengono che la fine dell’impegno militare al sud renderà
disponibili al governo centrale, risorse per impegnarle nell’area
a ovest. Altri invece, più ottimisti, vedono la pace con sud come
un primo segno per porre fine a tutti i conflitti.
Il lavoro di ricostruzione è titanico.
Il Sud è territorio grande come mezza Europa, abitato da 8 milioni
e mezzo di persone.
Il problema più urgente è quello dei profughi interni e
dei rifugiati, 4 milioni e mezzo di persone, che da anni hanno lasciato
la propria terra. Quando torneranno? E cosa troveranno? Le strutture del
paese non potrebbero sopportare un repentino esodo.
I
rifugiati
Il Movimento per la liberazione del Sud Sudan, (SPML) sostiene che sono
già tornati in 2 milioni. Noi non li abbiamo visti. A Rumbeck ne
sono in realtà tornati alla spicciolata, in tre mesi, solo 8.000.
Il world food program assicura che prima della stagione delle piogge,
ad Aprile, fra un mese, ne torneranno 250.000 in quest’area. Insomma
dati molto contrastanti.
Ma oltre l’oggettiva difficoltà di monitorare i flussi migratori
quando non sono gestiti centralmente, la guerra delle cifre continua,
perché questo esodo significa investimenti. La comunità
internazionale e gli stati uniti hanno il portafogli sul tavolo. Più
profughi tornano, più soldi saranno investiti. E la torta da spartirsi
si allarga. Come spesso accade i poveri sono una benedizione per chi li
deve aiutare.
Le nazioni unite hanno lanciato una raccolta di fondi dal titolo Programma
di lavoro per il 2005, che calcola il budget necessario per tutto il Sudan
in 1 miliardo e mezzo di dollari, e quindi per il Sud Sudan in una cifra
approssimativa tra i 600 e i 700 milioni. Di tutti questi soldi solo il
9% è stato raccolto e distribuito. Nonostante tutto ci si prepara
al ritorno della marea umana. C’è bisogno di acqua, di cibo
e anche prodotti non alimentari, teli per creare ricoveri, o veri e propri
materiali da costruzione per le loro case. Questo è l’assistenza
fornita dalle nazioni unite. C’è da dubitare che i destinatari
degli aiuti siano effettivamente queste persone. Durante il conflitto,
dal 1989 l’Operazione Life Sudan (OLS) delle Nazioni unite ha speso
1 milione di dollari al giorno, di cui però solo il 22% era si
trasformava in cibo effettivamente distribuito alle popolazioni vittime
della guerra.
A Rumbek, non ci sono case in muratura, non c’è elettricità,
nell’acqua, nètelefoni. Non esiste neanche una moneta in
corso. È difficile immaginare un paese più povero. Restano
solo le carcasse di qualche veicolo militare.
Il paese è tutto da costruire:
Le vie di comunicazione sono la prima e più importante necessità.
Questa porta in Uganda, da dove presumibilmente arriveranno via terra
le prime merci, invece degli eserciti, come in passato.
Cause
del conflitto - acqua
Le cause del conflitto sudanese sono storiche, religiose ma soprattutto
economiche.
In primo luogo si è combattuto per la gestione delle risorse idriche,
per il Nilo bianco e azzurro, che partendo dal sud irrorano il nord desertico
e forniscono acqua all’Egitto.
Negli anni settanta i francesi iniziarono a costruire un canale lungo
360 km, il Jonglei, che drenando le paludi meridionali ne avrebbero aumentato
la portata del Nilo di ben 4 miliardi di metri cubi l’anno, a beneficio
degli egiziani. Il canale avrebbe avuto un impatto ecologico enorme che
avrebbe costretto le popolazioni denka, tradizionalmente pastori, a rinunciare
ai loro pascoli. Il canale è rimasto bloccato dalla guerra al km
240. Il trattato di pace non menziona il problema.
Siamo nella stagione secca, le piogge sono ancora da
venire. In quest’area fino a qualche mese fa due clan delle stesse
tribù Denka, si facevano la guerra per l’approvvigionamento
idrico. Nel raggio di centinaia di km non c’era un dispensario medico
e neanche una scuola. Oggi c’è un infermiere volontario che
distribuisce medicine.
Churches Ecumenican Action in Sudan CEAS è un’agenzia umanitaria
delle chiese cristiane. Il Ceas ha anche fatto costruire un pozzo. L’acqua
qui è a 60 / 90 metri.
Il microprogetto sembra un modello per il Sud Sudan: costruite pozzi,
dateci medicine, e le ragioni del combattere cesseranno.
Cause
del conflitto - petrolio
In Sud Sudan c’è il petrolio. Un milione di barili al giorno
sono pompati verso Port Sudan sull’oceano indiano. Il Governo di
Khartoum lo ha venduto ai Cinesi e ai malesi in cambio di armi.
L’accordo di pace prevede che i proventi siano divisi in qual misura
tra sud e nord, salvo i precedenti contratti.
È ferma intenzione del governo meridionale di
terminare i contratti con i Cinesi, nei prossimi 6 anni per stipularne
nuovi con gli Stati Uniti. Nella guerra globale per l’oro nero il
Sudan ha un ruolo di primo piano.
Cause
del conflitto - religione?
Il 10 % della popolazione, dei 40 milioni di Sudanesi
è cristiana, per lo più al sud. Le chiese anglicana e quella
cattolica si affacciano nel paese nella seconda metà dell’800.
John Garang, il capo dell’esercito di liberazione sudanese è
protestante. Quando nel 1983 si mise a capo di una parte dell’esercito
del sud lo fece anche per contrastare l’intenzione del governo di
Karthoum di applicare la legge islamica nel sud. La guerra sudanese è
stata vista anche come una guerra di religioni.
Non credo che sia vero. La questione si è posta
perché l’avversario, il governo centrale, insediato a Khartoum
si autodefisce come un governo islamico. E' stato spesso difficile distinguere
tra il governo da una parte e la religione dall’altra. E per questo
la guerra è sembrata una guerra di religioni ma è stata
essenzialmente una guerra di liberazione. Tuttavia Le chiese cristiane
locali sono state accusate di essere troppo compromesse con l’esercito
sudista.
Le chiese, sia la cattolica che le protestanti hanno, di fatto, l’unica
rete di collegamento e informazione che abbraccia tutto il sud. Sono quindi
essenziali per la ricostruzione del tessuto connettivo del paese. Ma vorrebbero
avere anche un ruolo più decisivo per mantenere questa fragile
pace.
Restano molti se e molti ma di fronte a questo paese martoriato e meraviglioso.
Forse la volontà dei padroni del mondo che vogliono il petrolio
sudanese, forse la solidarietà interessata dei 9 paesi confinanti,
forse la buona volontà di un popolo giovane e amante della sua
ricca terra, riusciranno nel miracolo di una pace duratura.
PS. A qualche mese dal suo insediamento come vice presidente
del Sudan, John Garang è morto in un incidente aereo.
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