Home | Theatre | TV | Reportages | Interviews | Books | Teaching | Contact us | russian

Italia:

Perez Esquivel:
premio Nobel per la pace 1980
Pace e giustizia

 

 

 

Roma, giugno 2000

 

Adolfo Pérez Esquivel

 

Esquivel è passato a Roma per deporre nel processo contro i militari argentini, reponsabili del golpe del 1976 e della morte di migliaia di cittadini e di stranieri. Il 6 dicembre 2000 il tribunale italiano  ha  condannato all'ergastolo i generali Carlos Suarez Mason e Santiago Omar Riveros, i comandanti delle zone militari 1 e 4, per l'omicidio di cinque cittadini italo-argentini e il sequestro di un bambino, Guido di cui non si è saputo più nulla. Ventiquattro anni di condanna ad altri cinque militari per la morte e la scomparsa di un altro cittadino italiano. Il 24 marzo 1976 i generali Videla, Agosti e Massera presero il potere. L' Argentina fu divisa in cinque zone, ognuna comandata da un "signore della vita e della morte" e coautore del "processo di riorganizzazione nazionale": ogni giovane simpatizzante della sinistra veniva sequestrato, torturato con scosse elettriche in uno dei 350 campi di prigionia, poi trasferito, cioè ucciso, "con i voli della morte" oppure asado, "bruciato in mezzo ai copertoni". Così, per otto anni, nel silenzio generale.

E’ certo  che la sentenza non potrà venir eseguita ciononostante il valore simbolico è alto. Per i crimini contro l’umanità non esiste impunità, o indulto. L'intervista è stata realizzata prima della sentenza.

 

Io sono una delle vittime di questa repressione, del carcere, delle torture, dei voli della morte e, logicamente, poiché esiste l’impunità giuridica nei nostri paesi, ci rivolgiamo a quei paesi che hanno cittadini scomparsi o assassinati.  E pensiamo  che ogni stato è responsabile verso i suoi cittadini, persino verso quelli che vivono oltreoceano.
In questo caso concreto vengo come testimone per spiegare la mia esperienza come anche le ragioni per cui si è costituito il terrorismo di stato in tutta l’America Latina.

Noi pensiamo che tutto questo processo è in relazione alla cosiddetta “dottrina della sicurezza nazionale”, instaurata negli Stati Uniti per tutta l’America Latina.
Più di 80.000 militari latino americani sono stati addestrati nelle scuole delle Americhe di Panama e nelle Accademie militari degli Stati Uniti.  Era il concetto del capitalismo, associato a alla civilizzazione occidentale e cristiana. Io dico che avrà molto di occidentale ma niente di cristiano, perché un cristiano non può commettere quelle atrocità.
L’altra polarizzazione era l’Unione Sovietica, i socialisti e tutti quelli che si opponevano a questa concezione del capitalismo. C’è un ordinamento della società e l’uso della religione per la sua azione psico-sociale sui popoli.
I popoli sono naturalmente religiosi, vivono la fede in Dio, e per questo si è utilizzata, si è manipolata la religione, svuotandola dei contenuti.  E’ stato quindi  un meccanismo di giustificazione per tutte le atrocità contro la nostra gente.

 

Nella sua vita la fede cristiana è stata molto importante, è andata insieme alla sua lotta per la giustizia.

 

Beh, sì.  Io non mi sono messo in tutto questo per una militanza politica ma per un obbligo verso la mia fede.  Tutti dobbiamo seguire il cammino di Gesù, prendere la nostra croce e le nostre speranze e lavorare per l’amore, insieme ai nostri fratelli e alle nostre sorelle in tutta l’America Latina ed in qualsiasi parte del mondo. Ma noi consideriamo questo, ed io lo considero, come una responsabilità personale di vivere il Vangelo per arrivare a riconoscere in mio fratello ed in mia sorella il volto di Nostro Signore.  Questa è la motivazione che mi spinge ad  un impegno personale.
Non posso vivere una religiosità, una fede distaccata dalla realtà di un popolo. 

 

Lei nell’80 ha vinto il Premio Nobel. Cos’è cambiato poi nella sua vita?

 

Io continuo a fare lo stesso lavoro di prima del Premio Nobel. Semplicemente il Premio Nobel ha aperto nuovi orizzonti, le nostri voci sono state più ascoltate nei Fori Internazionali, nella società.  Quando mi hanno consegnato il Premio Nobel, pochi giorni fa si sono compiuti 20 anni, la prima cosa che ho detto quando me l’hanno dato è stata che lo ricevevo a nome dei popoli dell’America Latina, dei religiosi, delle diverse denominazioni delle chiese cattoliche, protestanti, degli ebrei che vivono la fede insieme alla gente contadina, indigena. Cioè ho accettato il Premio Nobel a nome del popolo dell’America Latina e cerco di essere coerente con questo.  Infatti pochi giorni fa sono stato a New York con il grido degli esclusi, dei poveri, degli emarginati, dei tanti bambini abbandonati per i quali lavoriamo tutti i giorni, i cosiddetti “bambini della strada” e le bambine, e cerchiamo di dargli una speranza di vita.
Perciò è da lì che continuiamo il lavoro ed il Premio Nobel è uno strumento al servizio dei popoli.

 

Chi sono gli esclusi di oggi?

 

Questo sistema in cui viviamo negli ultimi anni è fondamentalmente “escludente” verso i due terzi dell’umanità.  La fame uccide più della guerra ed io la chiamo la morte silenziosa. E’ una bomba silenziosa.  Come anche la povertà, l’aumento della povertà, in un mondo che ha molta ricchezza che non viene distribuita. C’è un’ambizione per il potere, per la ricchezza e questo non è il mandato di Dio.
Dio ci ha messi qui per poter vivere, generare e costruire il Suo Regno.  Ed io credo che il Natale ci chiama a questo impegno. Anche Gesù fu un escluso. Fu perseguitato fin da bambino, non solamente da Erode ma per tutta la situazione della sua vita: quando comincia a predicare quello che il Padre gli comanda è perseguitato, è escluso, è torturato, è condannato a morte.
Oggi sta succedendo la stessa cosa con i popoli ed inoltre il messaggio di Gesù parla del fatto che per molti la morte, la croce è un segno di tortura dell’epoca romana, ma per i cristiani è la liberazione. C’è in tutto il messaggio di Gesù un senso della vita, della speranza, della possibilità di costruire il Regno di Dio e la Sua giustizia.
Io credo che questo dia pace, questa pace profonda che deve nascere nel cuore di ognuno. Io penso che se noi non abbiamo la pace nel nostro cuore, non abbiamo nulla da offrire. Non possiamo offrire ciò che non abbiamo.  Quindi abbiamo bisogno della fede, dell’amore perché in tutto questo il fulcro fondamentale è l’amore. Duemila anni fa Gesù venne nel mondo, in questo Natale che celebriamo,  per mezzo dell’amore non dell’odio, non della guerra bensì della vita. Ed è questa vita che noi dobbiamo costruire. Per questo stiamo qui.

Uno dei punti fondamentali sui quali stiamo lavorando è questo tremendo debito esterno, che noi chiamiamo debito “eterno”. E’ la globalizzazione della dominazione. La globalizzazione ci sta portando ad un pensiero unico. Questo pensiero unico è di imporci una cultura consumistica e svuotata dei contenuti. Una dominazione culturale, una dominazione economica dove non c’è posto per i due terzi della popolazione mondiale. 
Gli esclusi non sono solo colore che muoiono di fame, i quali con la promessa del futuro vengono uccisi nel presente.  Ci sono questi milioni di bambini, di anziani che non hanno possibilità di una vita degna. Ma anche dei giovani, dei giovani che se non sono inseriti nel sistema di questa globalizzazione rimangono direttamente fuori, non sono “riciclabili”.  E noi dobbiamo costruire  un pensiero proprio. Il pensiero proprio è il pensiero delle radici culturali e della spiritualità. Non possiamo vivere senza spiritualità, non siamo materia unicamente. Siamo spirito e materia e dobbiamo cercare di vedere come sviluppare la cultura della solidarietà.
La globalizzazione è caratterizzata dall’individualismo e non da una cultura della solidarietà. E’ molto contraddittorio. Che globalizziamo?
E’ stata globalizzata la dominazione ma non è stata globalizzata la solidarietà.
Credo che quando si vede la situazione dei popoli indigeni, quello che sta accadendo in Africa con le morti nei conflitti, quello che succede nel Medio Oriente, proprio lì nella terra di Gesù, in Gerusalemme, a Nazareth, in tutta la regione dei popoli abramici, è tutto veramente doloroso questo che siamo arrivati al 2000 in questa condizione senza trovare la pace con gli scontri e le provocazioni delle grandi potenze che generano le guerre, i conflitti, come è il caso del Piano Colombia o i conflitti che ci sono in diverse regioni del mondo.
Credo che attraverso il pensiero proprio potremo generare un certo spazio.
Dio ha dato a tutti noi qualcosa di molto bello che è la libertà.
Senza libertà noi non abbiamo la capacità di amare ed è per mezzo della libertà e dell’amore che possiamo costruire.
Ed io credo che sia questa la grande sfida e la chiamata del messaggio di Gesù a Natale. Lui quando è venuto e si è incarnato nel mondo lo ha fatto attraverso la libertà e l’amore.  Lui opta per la  vita ed anche noi dobbiamo optare: dove siamo? O stiamo con il potere dei farisei, di coloro che lo condannano a morte, o stiamo dalla parte di Gesù per poter generare l’amore, la pace, la costruzione nei fatti concreti, perché questo non possiamo vederlo nell’astratto, lo dobbiamo vedere nella vita quotidiana, nella nostra famiglia, nel nostro lavoro, nella società, nell’economia, nella politica, nelle relazioni tra i popoli. E questa è la grande sfida perché è la costruzione del Regno.
E’ un Regno di giustizia ed è un regno di pace.

 

 

 

L'intervista televisiva e' andata in onda su Raidue- Protestantesimo.

Per richiedere il DVD:

protestantesimo@fcei.it