Questa è una stagione che, per quanto riguarda
l’universo carcerario, presenta delle ombre ma anche delle prospettive
positive, delle opportunità estremamente significative.
Paradossalmente fatti molto gravi hanno determinato una accellerazione
ad una serie di riforme.
Le principali: un decreto legislativo già pubblicato in Gazzetta
ufficiale che quindi non è un sogno o una speranza
che prevede una radicale riforma dell’amministrazione penitenziaria con
un reclutamento di 1.140 nuove unità lavorative che comprendono
molti educatori. Il carcere deve non soltanto punire, il carcere deve
recuperare secondo quanto scritto nell’art. 27 della nostra Costituzione
che deve essere soprattutto scolpito nella nostra coscienza di uomini
moderni, civili, aperti anche alla solidarietà verso chi ha sbagliato.
Il Parlamento italiano ha poi all’unanimità approvato una
legge, la cosiddetta legge Smuraglia, dal nome del suo promotore, che
presenta una grande novità su un versante decisivo, quello del
lavoro ai detenuti, è una legge che prevede sgravi fiscali per
datori di lavoro che vogliono impiegare detenuti, è una grande
opportunità che il dipartimento dovrà sfruttare al massimo
delle sue potenzialità, perché se non si da lavoro ai detenuti,
parlare è vano. Altro provvedimento è quello della custodia
attenuata, cioè forme di custodia per detenuti di determinate
categorie dove ci sia il massimo di concentrazione di educatori,
psicologi, maestri d’arte, maestri di scuola, mediatori culturali, professionisti
del reinserimento per cercare di sviluppare al massimo le linee di intervento
su questo specifico versante. Sono previsti anche incrementi di organico
della polizia penitenziaria ed è previsto un piano di edilizia
penitenziaria molto consistente; su questo tema c’è una scuola
di pensiero a cui io aderisco che dice che al carcere dovrebbero
essere sostituite in maniera massiccia misure alternative e che la costruzione
di carceri significa incrementare la carcerizzazione; io credo che
tra le due misure non ci sia contrasto, oggi il problema grosso
nelle nostre carceri è quello del sovraffollamento, abbiamo quindicimila
detenuti in più rispetto ai posti disponibili e quindi o il problema
del sovraffollamento rimane tale e aumenterà sempre di più
oppure, come è nello spirito di tutti ed anche in quello
dell’amministrazione penitenziaria, si consideri che noi abbiamo
bisogno di nuove carceri per chiudere quelle che non stanno più
in piedi perché fatiscenti ed inadeguate.
L’amnistia e l’indulto sono indispensabili perché
questo piano diventi efficace?
Io su amnistia e indulto non ho mai risposto
perché sono competenze politiche e io sono un amministratore. Non
posso non dire che il carcere oggi è attraversato da tensioni,
gravi problemi che scaturiscono dal disagio dovuto soprattutto al sovraffollamento,
quindicimila presenze in più nelle carceri vuole dire vivere malissimo.
Questi disagi potrebbero essere anche alleviati con un intervento
tipo amnistia e indulto però non spetta dire a me cosa è
giusto e cosa è sbagliato poiché è una competenza
assolutamente politica. Posso solo dire che, se queste tensioni
e questi disagi dovessero crescere ed aumentare, il rischio che invece
di una positiva crescita si entri in una spirale di inceppamento di queste
riforme è un rischio che mi sembra prevedibile.
Le pene alternative funzionano?
Oggi funzionano ma potrebbero funzionare meglio nel momento in cui fossero
allargate soprattutto ai lavori socialmente utili com’è nell’esperienza
degli altri paesi europei e funzionerebbero meglio nel momento in cui
non poggiassero solamente su un fattore negativo, passivo del non-carcere.
Noi attribuiamo al non carcere una funzione taumaturgica, quasi miracolistica
come se bastasse il non carcere per risolvere i problemi.
Il non-carcere ha sicuramente degli aspetti positivi perché
evita la stigmatizzazione, evita il carcere come scuola di delinquenza
ma da solo non basta e deve essere accompagnato da un percorso di
sostegno che vuol dire controllo, responsabilizzazione, riparazione del
danno, avvicinamento alle vittime, una serie di interventi che intrecciati
insieme significano reinserimento vero, effettivo. Ovviamente pene alternative
così congegnate richiedono anche un investimento finanziario però
i soldi spesi in questa direzione sarebbero sempre meno di quelli
che servono per un posto carcere che oggi considerato al minimo
costa £. 222.000 al giorno a detenuto
Qualcuno teme che nel futuro si vada verso una sorta di americanizzazione
delle carceri non solo in termini di privatizzazione ma soprattutto
in termini di bussiness. Lei cosa ne pensa?
E’ un timore giustificato ed è un timore da contrastare culturalmente.
Il carcere non deve essere un affare, non deve essere un serbatoio
di problemi sociali irrisolti. Il carcere deve essere riservato ai soggetti
ritenuti in sentenza particolarmente pericolosi perché
autori e condannati come tali per reati particolarmente gravi.
Nelle carceri oggi il 30% dei detenuti è tossicodipendente
e un’altra parte cospicua è costituita da stranieri,
soggetti che commettono reati ma che sono anche portatori di problemi
sociali per il quale il carcere non è la soluzione giusta
o non è sicuramente l’unica soluzione. Una carcerizzazione
indiscriminata sarebbe una soluzione miope, magari appagante dal punto
di vista della sicurezza male intesa in prima battuta ma sicuramente non
produttiva, meno che mai da un punto di vista di civiltà, di solidarietà
e di attenzione a questi problemi. C’è bisogno di soluzioni più
attente anche ai più deboli.
Un commento sul popolo italiano, da una parte aderisce allo schiaffo
della chiesa cattolica per quello che ha riguardato il Gay pride
e dall’altra sembra essere molto poco favorevole a provvedimenti di amnistia
o di clemenza. Che immagine ha lei degli italiani?
Io ho l’impressione che per quanto riguarda il carcere c’è ancora
molta strada riguardo all’approfondimento della realtà di questi
problemi. La cultura più diffusa non solo in Italia
ma in tutta Europa è la cultura del buttiamo via la chiave. La
gente dice: «hanno sbagliato, dovevano pensarci prima, non c’è
niente da fare, non è un problema che mi riguarda». C’è
indifferenza, rifiuto, rimozione del problema carcere, c’è
un muro non solo fisico ma anche culturale rotto da mille iniziative
di volontariato laico e di volontariato religioso nelle sue varie articolazioni
ma la sostanza prevalente è quella dell’indifferenza, della
disattenzione e dell’ostilità. Bisogna sforzarsi in tutti i modi
possibili per creare una diversa cultura; un dato di fatto ineludibile
e spero convincente è che un carcere che sia soltanto segregazione
è un carcere che crea continuamente delinquenza e dà
insicurezza alla collettività, un carcere invece che sia anche
speranza di recupero è speranza di diminuzione della recidiva
dei delitti, tranquillità sociale e più sicurezza.
Che posto ha la religione nel carcere, c’è rispetto per le diverse
tradizioni religiose?
Non esiste il carcere e ogni istituto penitenziario
è una storia. Ci sono situazioni in cui, per esempio,
gli spazi per la pratica del culto musulmano sono ampi e altri in cui
questi spazi sono ridotti. Certamente l’impegno è nel senso
di garantire che a tutti i detenuti sia garantita la possibilità
di praticare la propria religione. Non è certamente
facile però ci muoviamo in questa direzione.
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Pubblicato
su Confronti
L'intervista televisiva e' andata in onda
su Raidue- Protestantesimo.
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protestantesimo@fcei.it
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