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Italia:

Giancarlo Caselli,
l'amnistia vista da fuori

 

 

 

Roma, giugno 2000

 

 

Questa è una stagione che, per quanto riguarda l’universo carcerario, presenta delle ombre ma anche delle prospettive positive, delle opportunità estremamente significative.
Paradossalmente fatti molto gravi hanno determinato una accellerazione ad una serie di riforme.
Le principali: un decreto legislativo già pubblicato in Gazzetta ufficiale che  quindi non è  un sogno o una speranza che prevede una radicale riforma dell’amministrazione penitenziaria con un reclutamento di 1.140 nuove unità lavorative che comprendono molti educatori. Il carcere deve non soltanto punire, il carcere deve recuperare secondo quanto scritto nell’art. 27 della nostra Costituzione che deve essere soprattutto scolpito nella nostra coscienza di uomini moderni, civili, aperti anche alla solidarietà verso chi ha sbagliato. Il Parlamento italiano ha poi  all’unanimità approvato una legge, la cosiddetta legge Smuraglia, dal nome del suo promotore, che presenta una grande novità su un versante decisivo, quello del lavoro ai detenuti, è una legge che prevede sgravi fiscali per datori di lavoro che vogliono impiegare detenuti, è una grande opportunità che il dipartimento dovrà sfruttare al massimo delle sue potenzialità, perché se non si da lavoro ai detenuti, parlare è vano. Altro provvedimento è quello della custodia attenuata, cioè forme di custodia  per detenuti di determinate categorie dove ci sia il massimo di concentrazione  di educatori, psicologi, maestri d’arte, maestri di scuola, mediatori culturali, professionisti del reinserimento per cercare di sviluppare al massimo le linee di intervento su questo specifico versante. Sono previsti anche incrementi di organico della polizia penitenziaria ed è  previsto un piano di edilizia penitenziaria molto consistente; su questo tema  c’è una scuola di pensiero a cui io aderisco   che dice che al carcere dovrebbero essere sostituite in maniera massiccia misure alternative e che la costruzione di  carceri significa incrementare la carcerizzazione; io credo che tra le due misure non ci sia contrasto, oggi il problema grosso  nelle nostre carceri è quello del sovraffollamento, abbiamo quindicimila detenuti in più rispetto ai posti disponibili e quindi o il problema del sovraffollamento rimane tale e aumenterà sempre di più oppure, come è nello spirito di tutti ed anche in quello  dell’amministrazione penitenziaria, si consideri che  noi abbiamo bisogno di nuove carceri per chiudere quelle che non stanno più in  piedi perché  fatiscenti ed inadeguate.

 

L’amnistia e l’indulto sono indispensabili perché questo piano diventi efficace?

 

Io su amnistia e indulto non ho mai risposto perché sono competenze politiche e io sono un amministratore. Non posso non dire che il carcere oggi è attraversato da tensioni, gravi problemi che scaturiscono dal disagio dovuto soprattutto al sovraffollamento, quindicimila presenze in più nelle carceri vuole dire vivere malissimo. Questi disagi potrebbero  essere anche alleviati con un intervento tipo amnistia e indulto  però non spetta dire a me cosa è giusto e cosa è sbagliato poiché è una competenza assolutamente politica. Posso solo dire  che, se queste tensioni e questi disagi dovessero crescere ed aumentare, il rischio che invece di una positiva crescita si entri in una spirale di inceppamento di queste riforme è un rischio che mi sembra prevedibile.

 

Le pene alternative funzionano?


Oggi funzionano ma potrebbero funzionare meglio nel momento in cui fossero allargate soprattutto ai lavori socialmente utili com’è nell’esperienza degli altri paesi europei e funzionerebbero meglio nel momento in cui non poggiassero solamente su un fattore negativo, passivo del non-carcere. Noi attribuiamo al non carcere una funzione taumaturgica, quasi miracolistica come se  bastasse il non carcere per risolvere i problemi.
Il non-carcere ha sicuramente degli aspetti  positivi perché evita la stigmatizzazione, evita il carcere come scuola di delinquenza ma da solo non basta  e deve essere accompagnato da un percorso di sostegno che vuol dire controllo, responsabilizzazione, riparazione del danno, avvicinamento alle vittime, una serie di interventi  che intrecciati  insieme significano reinserimento vero, effettivo. Ovviamente pene alternative così congegnate richiedono anche un investimento finanziario però i soldi spesi in questa direzione sarebbero  sempre meno di quelli che servono per un posto carcere che oggi considerato  al minimo costa £. 222.000 al giorno a detenuto


Qualcuno teme che nel futuro si vada verso una sorta di americanizzazione delle carceri non solo in termini  di privatizzazione ma soprattutto in termini di bussiness.  Lei  cosa ne pensa?


E’ un timore giustificato ed è un timore da contrastare culturalmente. Il carcere  non deve essere un affare, non deve essere un serbatoio di problemi sociali irrisolti. Il carcere deve essere riservato ai soggetti  ritenuti in sentenza particolarmente  pericolosi perché  autori  e condannati come tali per reati particolarmente gravi.  Nelle carceri  oggi il 30% dei detenuti è tossicodipendente e  un’altra parte cospicua  è costituita da stranieri, soggetti che commettono reati ma  che sono anche portatori di problemi sociali per il quale il carcere non è la soluzione giusta  o non è sicuramente l’unica soluzione. Una  carcerizzazione indiscriminata sarebbe una soluzione miope, magari appagante dal punto di vista della sicurezza male intesa in prima battuta ma sicuramente non produttiva, meno che mai da un punto di vista di civiltà, di solidarietà e di attenzione a questi problemi. C’è bisogno di soluzioni più attente anche ai più deboli.


Un commento sul popolo italiano, da una parte aderisce allo schiaffo della chiesa cattolica per quello che ha  riguardato il Gay pride e dall’altra sembra essere molto poco favorevole a provvedimenti di amnistia o di clemenza. Che immagine ha lei degli italiani?


Io ho l’impressione che per quanto riguarda il carcere c’è ancora molta strada riguardo all’approfondimento della realtà di questi problemi.  La cultura più diffusa  non solo in Italia ma in tutta Europa è la cultura del buttiamo via la chiave. La gente dice: «hanno sbagliato, dovevano pensarci prima, non c’è niente da fare, non è un problema che mi riguarda». C’è indifferenza,  rifiuto,  rimozione del problema carcere, c’è un muro non solo fisico ma anche  culturale rotto da mille iniziative di volontariato laico e di volontariato religioso nelle sue varie articolazioni ma la sostanza prevalente  è quella dell’indifferenza, della disattenzione e dell’ostilità. Bisogna sforzarsi in tutti i modi possibili per creare una diversa cultura; un dato di fatto ineludibile  e spero convincente è che un carcere che sia soltanto segregazione è un carcere che crea continuamente delinquenza e  dà insicurezza alla collettività, un carcere invece che sia anche speranza  di recupero è speranza di diminuzione della recidiva dei delitti, tranquillità sociale e più sicurezza.


Che posto ha la religione nel carcere, c’è rispetto per le diverse tradizioni religiose?


 Non esiste il carcere  e ogni istituto penitenziario  è una storia. Ci sono situazioni  in cui, per esempio,  gli spazi per la pratica del culto musulmano sono ampi e altri in cui questi spazi sono ridotti. Certamente l’impegno  è nel senso di garantire  che  a tutti i detenuti sia garantita la possibilità di praticare la propria religione.  Non è certamente  facile però ci muoviamo in questa direzione.

 

Pubblicato su Confronti

 

L'intervista televisiva e' andata in onda su Raidue- Protestantesimo.

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