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Samara (Russia):

 

Il Bunker di Stalin

 

 

 

Samara, maggio 2003


L’ingresso del bunker di Stalin è nascosto dentro l’Accademia dall’Arte e della Cultura di Samara (Russia), nella piazza del teatro drammatico. Anatoli Vasilievich Solujanov, il direttore del museo aperto nel 1991, sta spazzando l’ingresso, piegato in due per via della tipica scopa senza manico russa. Tuta mimetica, fisico asciutto porta i suoi 55 anni magnificamente, forse per effetto dei 180 gradini che ogni giorno percorre su e giù (fino a 15 volte), accompagnando turisti e curiosi sbarcati da tutto il mondo. Il Museo ha solo due dipendenti, il cassiere e Anatoli. Ciononostante si affretta a dirmi di aver raggiunto da poco il milione di visitatori. Che la ricorrenza dei 50 anni dalla morte del dittatore abbiano dato un colpetto per far scattare la cifra tonda? “Noi non abbiamo il culto del personalità, qui celebriamo la straordinaria capacità tecnica di un popolo che aveva il nemico alle porte”.

Qui è rimasto tutto com’era il giorno dell’inaugurazione, il 12 novembre 1942. Passata la prima porta di metallo a chiusura meccanica e pneumatica, le luci si abbassano e una musica miagolante denuncia un tentativo parzialmente riuscito di creare un’atmosfera lugubre e misteriosa. Certamente pericolosa perché i gradini non sono tutti di misura eguale.
A 12 metri da terra, la prima stazione di questa discesa negli inferi della città di Samara: il bunker che Stalin fece costruire in appena 9 mesi tra il febbraio e il novembre 1941, e che non gli servì mai. Anzi si dubita persino che lo abbia mai visto.

 

Dal 1935 Samara aveva preso il nome di Kuybushev (il segretario di Stalin, morto in quell’anno di morte naturale) ma questa cittadina a 1098 km a sud est di Mosca non offriva grandi attrazioni se non la confluenza del fiume Samara con il Volga, un ottima birra prodotta su licenza tedesca e il centro storico abbellito da un curioso decò indigeno, molto eclettico. Oltre alle istallazioni militari, capaci di produrre un temibile aereo da combattimento soprannominato dai nazisti La morte nera.
Nell’ottobre 1941 i soldati del Fuhrer sono alle porte di Mosca. La capitale è evacuata. Stalin invia due telegrammi al soviet di Kuybushev. Nel primo ordina che la produzione di aerei passi da uno a 25 al giorno. Nel secondo decreta che gli si costruisca un bunker nel più completo segreto.

 

Il 17 ottobre 1941 la città diventa la seconda capitale dell’Unione Sovietica. Strategicamente è imprendibile perché si trova sul lato destro del Volga (largo oltre un chilometro) e il letto del fiume si ripiega su se stesso rendendo l’invasione da ovest un suicidio.
Ventidue ambasciate, compresa quella americana, trovano ospitalità nella cittadina che raddoppia in pochi mesi la sua popolazione, mentre nella regione arrivano 10 milioni di profughi dalle zone occupate.
E qui cominciano i misteri: il bunker è costruito proprio in mezzo alla piazza del teatro, attorniata dalle ambasciate straniere. Ma nessuno si accorge di nulla. “ Per dare un’idea: abbiamo costruito un palazzo di dodici piani sottoterra senza che nessuno vedesse niente” aggiunge Anatoli raggiante. Come hanno fatto i 600 operai a far sparire migliaia di metri cubi di terra? E gli anelli di cemento armato come sono arrivati? E ancora, le camicie di cemento armato largo fino a 3 metri, come sono state poste in opera? La guida fa appello al giuramento che lui come gli ingegneri di questo miracolo tecnico hanno siglato per la vita. “Non possiamo dire niente”. Da tempo si vocifera di una città sotterranea , di un lungo tunnel che sbucherebbe proprio sul Volga. Il primo di aprile una televisione in vena di scherzi lo ha addirittura mandato in onda (si trattava in realtà di un ramo secco della metropolitana). E in effetti il bunker di Stalin utilizza la stessa tecnologia impiegata per costruire la metro, solo che il tunnel è posizionato verticalmente.

Il bunker ha la forma di una psi greca: due braccia laterali che confluiscono in un braccio più grande che scende ancora in profondità. Il percorso si deve fare a piedi. L’ascensore c’è, originale, funzionante, ma temporaneamente guasto. L’aria è tiepida, 19 gradi costanti tutto l’anno, grazie a due condizionatori e due sistemi di ventilazione. Anche questi d’epoca. Lo spazio è studiato per 115 persone, che potrebbero alloggiare in piccole stanze ora occupate da una mostra fotografica. In caso di bombardamento il comitato centrale sarebbe potuto scendere rapidamente e avrebbe potuto continuare a lavorare. “Ma Samara non fu mai bombardata, se non sporadicamente, e Stalin qui non c’è dovuto venire” aggiunge Anatoli, quasi dispiaciuto.

A trentasette metri sotto terra entriamo nella stanza di Stalin, copia perfetta di quella che aveva a Mosca: 35 metri quadrati, 6 porte, un divano, un tavolo da lavoro, un telefono senza rotella, due ritratti. Da una parte una stampa del generale Kutuzhov che vinse Napoleone, dall’altra Suvolov che batté i turchi. Delle 6 porte 4 sono finte, disegnate per espresso desiderio del dittatore desideroso di esercitare una pressione psicologica sui suoi interlocutori. Anatoli Vasilievich, appoggiato alla scrivania di Stalin, tra il serio e il faceto, inizia a dare i numeri: 14 era la profondità in metri del bunker di Churchill a Londra. 16 quella del bunker di Hitler a Berlino e di Roosvelt in Colorado. 37 quella del bunker di Stalin. La guerra dei metri è vinta. “Per i 50 anni dalla morte non abbiamo fatto niente di speciale, però è venuta più gente”. Di fronte alla stanza di Stalin si apre la sala riunioni del Comitato Centrale: sullo sfondo la mappa della Russia con le posizioni degli eserciti a novembre 1941; un lungo tavolo a T; lungo le pareti le postazioni degli stenografi e dei segretari, rivolti verso il muro; tre grandi ritratti benedicenti di Marx, Engels e Lenin.
I grandi dittatori, avvolti nel potere e nel delitto, portano sempre un alone di mistero. Forse è questo che il milione di curiosi è venuto a cercare qui. O forse, per i Russi, il percorso è più tortuoso, inconsciamente più profondo. Dal 1991 è in atto un doloroso processo di ridefinizione dell’ identità nazionale. “Non siamo più l’altro polo del mondo, non siamo una superpotenza militare e politica. Chi siamo?” si chiedono gli ex sovietici, orbati del loro impero? Secondo un recente sondaggio, se si chiede al popolo russo in cosa riconosce se stesso, la risposta è la seguente: nella letteratura del XIX secolo (Dostoevskij, Tolstoj ecc.) e nella grande vittoria contro il nazifascismo. Vittoria di cui Stalin fu artefice e di cui questo bunker è testimonianza.
Anatoli Vasilievich, riprende la sua scopa e spazza il tappeto. Controlla che un ventilatore tipo caldobagno asciughi un’infiltrazione di umidità su un finto camino.

 

 

Pubblicato su Diario